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La ricostruzione della Grande Guerra attraverso i lasciti: gli Arditi


A stimolare l'approfondimento è probabilmente quella sete di conoscenza, e diciamo pure riconoscenza, che accomuna tanti discendenti che annoverano parenti impegnati sul fronte delle guerre mondiali. 
L'incommensurabile privilegio di poter toccare le testimonianze storiche con mano. È il resoconto degli esiti di una ricerca personale su un militare ardito, portata avanti con convinzione dal nipote di un soldato che ha combattuto in primissima linea nella Grande Guerra
 
Una ricerca condotta su più versanti, che porta con sé un valore affettivo prezioso. Uno studio che ha preso in esame il foglio matricolare del nonno del ricercatore, richiesto al suo distretto di appartenenza. Sul documento si trovava annotata l'indicazione di una grave ferita al cranio che il nonno subì a Passo Buole, il 31 maggio 1916, appresso al 207° della Brigata Taro, procuratagli da una palletta di shrapnel. Un "reperto" di guerra che gli venne estratto dalla testa, e che lo stesso si fece rimontare per sfoggiare a mo di medaglia al valore. 
 
 
Una ferita che, in effetti, gli valse poi anche la Medaglia di Bronzo al Valor Militare. Nozioni reperite con l'aiuto della nonna del nostro ricercatore, che si è spenta solo nel 1999, e che ha quindi potuto dare un contributo fondamentale nel ricomporre i pezzi del mosaico sul vissuto bellico del marito. 
 
Testimonianze che in alcuni casi non rendono probabilmente piena giustizia alla realtà storica dei fatti, sostituiti da visioni frutto di incolpevoli infatuazioni leggendarie. Come per la nascita degli arditi reggimentali, che lei fa risalire alla metà del 1916, quando la storia ne colloca l'origine temporale nel 1917. A marzo di quell'anno viene avanzata infatti richiesta ufficiale per l'istituzione delle compagnie d'assalto, gli arditi reggimentali, che avrebbero poi dovuto costituirsi entro il luglio 1917 (per approfondimenti, consultare il monografico Da Artigliere ad Ardito. Da Varese al Monte Grappa, di Riccardo Ravizza, alle pagine 48-49). 
 
Qualche dubbio invece il nostro ricercatore lo nutre sulla sopravvivenza del nonno: la nonna aveva ricevuto dal marito l'informazione secondo cui egli sarebbe sopravvissuto in quanto ardito, e quindi curato prima di altri, nonostante una ferita più grave e quindi con minor margine di riuscire a farcela per lo sventurato per l'élite militare ricoperta che esigeva una priorità di trattamento negli interventi sanitari. Nel foglio di congedo la ferita viene descritta con queste parole: "Riportò ferita da scheggia di granata nemica alla regione parietale destra, con scollamento del peristeo". 
 
Le immagini che il nostro ricercatore ha conservato del nonno sono poche e purtroppo poco nitide, poiché spirò quando lui aveva solo 4 anni. Ciononostante, le poche reminiscenze visive della sua persona, gli restituiscono una figura inevitabilmente pervasa dalla memoria della guerra vissuta sulla pelle. Così, quando il nostro ricercatore, bambino, era nella casa dei nonni di Milano, il nonno era solito giocare con lui, facendo finta di prenderlo, e correndo goffamente da una parte all'altra del letto con un coltello da cucina tra i denti, mentre il nipote si rotolava nel mezzo per schivarlo. 
 
Piccoli frammenti di vita condivisi, che raccontano meglio di qualsiasi altra testimonianza materica, il devastante peso psicologico di quanto vissuto dai reduci. 
 
 
 

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