Un mistero destinato a durare

La sorte dell'illustre oro di Dongo sembra segnata da sospetti, impossibili da sciogliere fino in fondo.

Passati da un processo controverso, interrotto praticamente subito, dopo 4 mesi dalla prima udienza aperta nella Corte d'Assise di Padova, nel 1957, e mai più ripreso, dopo il suicidio di uno dei giurati nel luglio di quell'anno. Una "non inchiesta" che getta ulteriori ombre su una vicenda oscura. Il "bottino" in questione altro non è che l'illustre mole di beni e denaro sequestrati a Benito Mussolini, all'amante Claretta Petacci e ai gerarchi che lo seguivano, durante l'ispezione eseguita a Musso dei partigiani della "Luigi Clerici".

Mentre Mussolini venne preso in consegna dal vicecommissario di brigata, i valori furono in gran parte sequestrati, anche se non è mai stato chiarito che fine fecero. In questo patrimonio c'erano anelli – fedi "donate" al regime nel 1935 dalle donne sposate – assegni, oro, gioielli e valute, oltre ad una misteriosa borsa a quattro scomparti, anch'essa colma di oro e valute. Il 28 aprile del 1945 i beni vennero inventariati da Giuseppina Tuissi (nota nell'ambiente partigiano come "la Gianna"), che era stata incaricata di sorvegliarli. Ma sia l'originale che la copia dei beni inventariati dalla Gianna insieme a Bianca Bosisio, non verranno mai più ritrovati. E nel tardo pomeriggio, il capitano Neri (nome di battaglia di Luigi Canali), compagno della Tuissi, colui che aveva ordinato di radunare tutti i beni della colonna fascista fermata a Musso, firma l'ordine di consegna temporaneo dei beni.

Una serie di fatti che fanno da preambolo agli omicidi di Neri e Tuissi. Entrambi, probabilmente, gettati nel lago di Como, alimentano indiscrezioni funeste e leggende tragiche sulle sparizioni dei loro corpi, avvenute, secondo alcune ipotesi, in un tratto lariano nei pressi di Cernobbio. Qualcuno aveva chiaramente "puntato" l'ingente patrimonio fin dall'inizio, vedendo come un impiccio la presa di posizione forte e senza condizionamenti della Tuissi e di Neri a difesa dei beni, nonostante la provenienza. Da qui deriva l'utilizzo delle maniere, altrettanto forti, per arrivare all'obiettivo illecito. 

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