Animali in Guerra

La morte è uguale per tutti, anche per loro. Distinti biologicamente, accomunati dallo stesso destino:

uomini e animali durante la prima guerra mondiale hanno reso i medesimi servizi in proporzione alle possibilità fisiche e alla propria natura. A certificarlo sono i numeri degli animali deceduti sui campi di battaglia o a causa della guerra, e utilizzati per gli scopi più disparati.

Si pensi alla meccanizzazione, che all'epoca della Grande Guerra non è ancora a pieno regime, e deve fare affidamento su qualche certezza in prestito dal passato. Le più grandi nazioni belligeranti si dotano così di quadrupedi per le finalità più svariate. Perciò la Francia ricorre ai cavalli "in massa": sono quasi due milioni quelli incorporati all'esercito francese. La metà muore nel tragico quadriennio. Migliaia periranno per il freddo e la malnutrizione, numerosi in guerra. Non potendosi avvalere di una fornitura interna importante, durante la guerra i transalpini li importano da paesi come gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e l'Argentina.

L'American Expeditionary Force - un altro esempio - ha dato talmente importanza ai cavalli, da costruire un deposito a Lux (Francia) in cui addestrarli in base al loro futuro incarico, e un ospedale veterinario in cui curarli, il più grande di tutto il Paese. Quelli feriti vengono recuperati dalle ambulanze specializzate e portati in ospedale per le eventuali operazioni chirurgiche. Il loro sostentamento è essenziale per garantire piena funzionalità per il trasporto di armi e le altre mansioni, anche domestiche.

L'altro animale "insostituibile" al fronte è il cane. Anche qui, assidui utilizzatori sono i francesi, che, nonostante ne captino le potenzialità solo nel 1915, ne sfruttano l'agilità per inviare messaggi nei cunicoli delle trincee appendendoli sulla schiena, ma anche per tirare carrelli e mitragliatrici, come cani da guardia, sanitari, da tiro. Ciascuno è registrato come cane da guerra in un apposito ufficio del registro e dotato di un libro militare, una targa e un'attrezzatura. Le imprese di alcuni sono talmente "umane" da renderli decorati e consentire il salto di grado. Come accaduto ad un bull terrier dell'esercito americano, Stubby, passato al livello sergente per avere contribuito alla cattura di una spia tedesca. La presenza dell'amico a quattro zampe (e non solo il cane) al fronte non ha necessariamente un'utilità pratica: gli uomini cercano anche l'affetto in un momento in cui le tracce di umanità sono ridotte al lumicino. Perciò agli ufficiali statunitensi è consentito il diritto di tenere i cani.

Un amico silenzioso ma estremamente utile, per lo più sul fronte italiano, per i servizi di artiglieria alpina, è il mulo, che rappresenta forse l'unico mezzo trasporto in grado di percorrere gli impervi sentieri alpini, che non a caso, continuavano a essere chiamati "mulattiere". Il suo apporto si rivela determinante per trasportare le armi e rifornire i reparti logistici in alta montagna. Autentico mezzo da combattimento, il mulo è fondamentale per trasportare le armi e rifornire i reparti logistici in alta montagna. L'ultimo censimento parla di 520.000 capi presenti al fronte.

Ma le stravaganze sul tema durante la guerra non sembrano conoscere limiti, se è vero che ogni reggimento dell'esercito britannico ha diritto ad una mascotte, e c'è chi "sfrutta" il diritto per usare i maiali in quest'ottica. Infine, la prova che uomo e animale sono messi sullo stesso piano nel contesto bellico, arriva dai monumenti commemorativi. Il destino delle due specie si fonde nella tragedia della guerra, percui, per citare i casi più clamorosi, all'ingresso dello zoo di Lille si staglia una colonna dedicata a 20mila piccioni morti per la patria. Esempi celebrativi, simili nella forma al modello memoriale di Lille, si ritrovano Bruxelles, Charleroi e Berlino.

Perfino alcuni motti e i modi di dire nati nella Grande Guerra hanno un'origine animale: il detto francese "avoir le cafard " o "avoir le bourdon", letteralmente "avere lo scarafaggio o il calabrone", si traduce con l'espressione italiana l' "essere giù di corda". Rimanda alla vicinanza quotidiana degli insetti ed al suono serio e cupo degli scarafaggi che ronzavano in trincea, per fare riferimento alla stanchezza e alla malinconia di una persona. In definitiva, c'è un mondo ancora inesplorato sulla Grande Guerra che parla di una dimensione non solo umana. 

 

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