Dopo il fronte...
La prima volta dei feriti gravi, reintegrati a prezzo carissimo nella società.
Nonostante i notevoli progressi della medicina rispetto ai conflitti del passato, i segni e le profonde cicatrici inferti dalla Grande Guerra ai soldati impegnati al fronte hanno rappresentato, come prevedibile, un ostacolo importante per la riammissione nei ranghi sociali dei reduci nel post guerra. È il bilancio tremendo di un evento che oltre al bollettino già impressionante di 9 milioni di morti sul campo, ha registrato più del doppio dei caduti fra i feriti, di cui a guerra in archivio, si conterà una fetta cospicua dei feriti al volto (gueules cassées), soprattutto da proiettili e schegge.
Questi ultimi, in molti casi hanno dovuto ripagare un costo della sopravvivenza decisamente salato. Si pensi alla difficoltà del recupero delle relazioni interpersonali e professionali di fronte a volti sfigurati e "rabberciati". È l'altra faccia della medaglia rispetto al recupero massiccio dei feriti gravi in guerra, che non poteva fare riferimento a episodi storici precedenti. feriti gravi, che se fino a qualche decennio prima venivano finiti direttamente sul campo per l'arretratezza della medicina, a partire dalla prima guerra mondiale, specie con l'evoluzione della comunità medica, vengono operati in loco. Spesso a poche centinaia di metri di distanza dal luogo del ferimento, nelle stazioni di fuoco avanzate per il primo soccorso. Questo perchè, statisticamente, si era capito che difficilmente si arrivava all'ospedale ancora vivi.
Perciò se da un lato la mortalità scendeva, dall'altro c'era comunque da fare i conti con le possibilità di un pieno recupero di una vita "normale", di frequente compromesso dall'estetica facciale. La percentuale era formata in gran parte da uomini. Soldati, il più delle volte sotto shock, difficili da identificare. Vittime di colpi di mitragliatrice che causavano fratture alla mascella, perdita di uno o entrambi gli occhi, naso. O ancora, perdita di pelle, ossa o muscoli. Come si può ben immaginare, la casistica era variegata. E se nei punti di primo soccorso l'obiettivo era salvare il paziente, negli ospedali veniva praticata la ricostruzione delle parti incidentate. Interessanti, a questo proposito, sono alcune tecniche ricostruttive maxillo facciali adottate. Procedure che non facevano altro che aggiungere nuovo dolore ai pazienti già appesantiti dal fardello della guerra, per altre settimane. Procedure che, senza alternative migliori su cui poter contare, e che in alcuni casi avevano risultati estetici anche dignitosi, se confrontati con il "prima". Interventi originali e frequenti erano i trapianti e gli innesti, anche direttamente da altre parti del corpo del paziente: pezzi di cuoio capelluto impiantati per riempire i buchi sul viso, perché dello stesso tipo del cranio, o elmetti restrittivi per le fratture nelle fauci. Un notevole ventaglio di possibilità operative, frutto della sconfinata fantasia umana, di cui l'uomo stesso avrebbe volentieri fatto a meno.